La forza della grazia
Isaia 40,27-31
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 30 Marzo 2008
Nella tradizione ebraica la seconda parte del libro di Isaia, che inizia con il capitolo 40, è chiamata il libro della consolazione. Dal punto di vista storico questi oracoli nascono durante l’esilio in Babilonia e sono attribuiti a un anonimo erede spirituale di Isaia, chiamato talvolta Deuteroisaia.
Qual è il principale tormento di un popolo che è stato sottoposto a un duro giudizio e a una severa punizione? «La mia via è occulta al SIGNORE e al mio diritto non bada il mio Dio». In altre parole un senso di solitudine e di abbandono.
È un motivo ben visibile in tutta la Bibbia. Pensiamo al libro di Giobbe, ricordiamo i Salmi, in particolare il Salmo 22, ripercorriamo gli ultimi istanti di vita di Gesù narrati in Matteo 25,45-50.
Ritorniamo, però, alla consolazione che rappresenta il filo conduttore del nostro breve testo.
Dopo una domanda, in parte retorica, in parte ironica, Non lo sai tu? Non l’hai mai udito? l’autore del testo propone una particolare confessione di fede.
È una confessione basata su una certa simmetria. Nella prima parte viene affermata l’onnipotenza di Dio, manifestatasi nella creazione. Per la fede ebraica, infatti, il SIGNORE è prima di tutto il creatore di tutto ciò che esiste. Nella parte centrale del nostro brano questa onnipotenza divina viene contrapposta alla stanchezza e alla spossatezza, ovvero all’impotenza umana.
Nella seconda parte viene invece affermata una particolare forza umana profondamente radicata nella potenza di Dio. Il termine usato per esprimere questo radicamento è il verbo “sperare”(hbr. qwh). Il campo semantico di questo verbo è particolarmente ampio: sperare ma anche aspettare con fiducia, essere certi. La forma è un participio che esprime, di fatto, un’azione: coloro che stanno sperando, coloro che stando coltivando la certezza, gli “sperandi”.
Non possiamo non accostare questo brano al noto testo di II Cor. 12, 10: quando sono debole, allora sono forte.
Una forte percezione della propria debolezza, un senso d’impotenza, una spossatezza viscerale sono sensazioni che proviamo spesso sia come individui, sia come comunità. Vorrei confessarvi che queste sensazioni mi accompagnano sin dalle prime settimane del mio ministero a Firenze. Tuttavia anche nella nostra comunità mi sembra di cogliere qualche sensazione simile: una forte preoccupazione per la Diaconia valdese, una sorta di incertezza sul destino finale del nostro tempio di via Micheli che assorbe tante risorse economiche, la paura di un eccessivo invecchiamento della comunità… Sono soltanto alcune cose che ho percepito nel corso di visite pastorali e riunioni di lavoro.
Non vorrei fare qui l’elogio della debolezza. Il brano di stamattina non lo è affatto; se proprio vogliamo parlare di un elogio, esso riguarda piuttosto un’esistenza trasformata da Dio. La trasformazione radicale dell’esistenza umana è strettamente legata al riconoscimento della gloria e della signoria di Dio, che si è manifestata in Cristo Gesù. Tale trasformazione può essere esclusivamente frutto dell’azione di Dio che comunemente si esprime con il termine “grazia”.
La grazia indica un modello della presenza e dell’azione di Dio che noi, uomini e donne di tutte le razze e di tutti i tempi, riconosciamo come manifestazione del suo amore per l’essere umano. Anche se siamo peccatori dal cuore indurito e arido, Dio è disposto a venirci incontro; spesso siamo sordi, ma Dio è disposto a farsi udire da noi; i nostri occhi sono accecati, tuttavia Dio è disposto a far vedere la sua presenza concreta nella nostra vita; tendiamo ad allontanarci da Lui, ma Dio è disposto a venire verso di noi e a condurci a Sé.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 30 Marzo 2008, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.